Tanto rumore per il film che esce il 23 agosto e racconta le res gestae del fisico le cui ricerche consentirono la produzione della bomba atomica grazie alle precedenti ricerche di Enrico Fermi sulla possibilità di dividere l’atomo. Solo che Oppenheimer, in definitiva, non può vantare di essere il primo firmatario di nessuna delle grandi scoperte della Fisica del Novecento: quanti di energia, fissione e fusione dell’atomo. Solo in un mondo che ha bisogno di nuove suggestioni da consumare e cambiare per avere argomenti sui quali concentrarsi, anche il fisico che si occupò di quantistica, va bene. Specialmente se personificato da un attore inquietante.
Il gioco è fatto. Diretto da Christopher Nolan (quindi una
garanzia per il pubblico avido di storie), il film trova nell’interpretazione
di Cillian Murphy nei panni di Oppenheimer il suo ulteriore sussulto emozionale.
Si regge sulla biografia di Kai Bird e Martin J. Sherwin. E sono loro che
propongono questa assimilazione tra il fisico contemporaneo e il mito di Prometeo.
(Non si capisce bene come possa reggersi
l’assimilazione se la figura di Prometeo consiste nell’uomo che si ribellò agli
dei per dare agli uomini lo strumento di evoluzione, quale è il fuoco.
Oppenheimer tutt’al più giocò una scommessa fondamentale nella sua carriera
prestandosi alla configurazione di un nuovo e potentissimo ordigno bellico).
In quel tempo si riteneva che pur realizzando le bombe
atomiche dirette a Hiroshima e Nagasaki, le sue ricerche avrebbero aperto le porte
a soluzioni decisive sull’approvvigionamento energetico, prospettando una nuova
era per l’umanità. Le sciagure realizzate col modello nucleare probabilmente sono
state più rovinose delle bombe e i quesiti tecnici lasciati insoluti ne sono la
pesante eredità.
Nel film aiuta il volto amletico di Cillian Murphy. Ma
mentre Amleto risolve nella finzione più forte della realtà il dilemma di una
realtà inaccettabile, Oppenheimer quella realtà l’ha fatta sua prendendone
tutti i momentanei vantaggi carrieristici. Si rifiutò poi di collaborare alla
bomba all’idrogeno. Ma non per questo si deve considerarlo un santo, tanto più
che altri suoi solerti colleghi sono riusciti ad arrivare all’obiettivo.
Il mito di Oppenheimer riporta invece l’antico quesito delle
responsabilità oggettive di chi ricerca – in genere. Lo scopritore di nuovi
mondi è responsabile dell’uso che si farà delle nuove latitudini trovate?
Quindi degli usi che se ne faranno? Le risposte, comunque valide, sono
altrettanto conosciute.
Il dato riportato nel film consiste nell’esposizione di
tanta natura nel suo stato molecolare e del rumore che ne scaturisce. Si aprono
qui le interpretazioni di tanto rumore: la natura che si ribella al
disvelamento dei suoi segreti o il tuono della sua liberazione?
Con la frase riportata dai biografi e citata nel film - "non è una nuova arma, è un nuovo mondo" – si mostra il fisico che vuole trovare una scappatoia dialettica alla mostruosità nella quale si è coinvolto. E vai, allora, con l’accentuazione della crisi interiore dell’uomo di scienza: smorfie, piccoli movimenti del viso perfettamente interpretati dal protagonista. Ma come se non bastasse il senso di contraddizione avvertito dal fisico deve essere ben evidenziato nel cascame di sciagura prospettato dalla realizzazione dell’ordigno.
E allora come si fa a rappresentare tutto questo?
Come può un regista in un film, pur lungo tre ore, evidenziare tanto? “Lo fa dire!”
Un effluvio di parole da parte degli accusatori di Oppenheimer. Un vecchio
espediente del cinema raccontato anche nella terza serie di Boris, dove emerge
il lato grottesco, quindi comico. Solo che qui non c’è niente da ridere. E
anche sulla mitizzazione di certi discutibili protagonisti il cinema dovrebbe
stare attento. Quantomeno introdurre dei contrappesi nella narrazione. Ma
difficilmente si fa. La gente vuole consumare la Storia.