Sembra la foto per il set di un film ma la propaganda degli Stati Uniti vuole farla passare come l’affermazione della massima espressione democratica. Un ex presidente arrestato come uno qualsiasi e fatto passare momentaneamente per le patrie galere, prima di essere rilasciato in attesa di giudizio. Il momento drammatico dura venti minuti. La fortuna della foto durerà tutto il giorno e l’evento sarà diversamente ricamato dai saggisti della strategia politica.
Non bisogna mai dimenticare il capo di imputazione. Trump
avrebbe tentato di manipolare il voto della Georgia. Chiaramente a suo favore,
chiaramente si tratta dell’ultima elezione presidenziale nel 2020.
Per lui è la quarta incriminazione. Ma solo stavolta è stato
dato risalto mediatico eccezionale al fatto. Chiaramente ci sono in ballo le
prossime elezioni in cui Trump ha annunciato di voler scendere nuovamente in
campo. Se riuscisse a farcela nelle primarie repubblicane, il primato del primo
ex presidente inquisito quattro volte sarebbe superato dall’altro ben notevole
primato di avere il primo candidato alle presidenziali nei guai con la
giustizia.
Non si può far a meno di pensare, allora, che questo bagno
mediatico sia determinato dal tentativo di scongiurare un’incongruità del
genere. (Anche se, ammettiamolo, se
avvenisse sarebbe molto divertente: metterebbe veramente in crisi il sistema
americano e da questa crisi potrebbe scaturire finalmente la caduta interna di
un modello che si è affermato nel mondo in modo imperante. Gli Stati Uniti
smetterebbero di essere l’impero che conosciamo in virtù del fatto che
dimostrerebbero di non sapere governare i loro stessi stati tensivi interni,
figuratevi come possono fare con quelli internazionali).
Il conflitto interno è reso evidente. Trump stavolta non ha
fatto la passeggiata in tribunale. Il passaggio c’è stato proprio nel super
carcere. Il tentativo è quello dell’umiliazione del tycoon. Altro che uomo di potere e facoltà finanziarie. Il potere
propriamente detto dello Stato moderno lo riduce in un carcere sovraffollato e
famoso per le tante morti al suo interno. Come a voler spazzare via l’immagine
del vincente che finora ha sempre avuto.
Un conflitto sul quale il liberalismo deve riaggiornare le
sue categorie. Lo Stato pesante, pedante, inquisitore, frustrante della libera
impresa, mette alla sbarra il suo figlio migliore – anche se, sicuramente, ne
ha fatte di trasgressioni.
Viene da pensare a un capitolo dei Fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij dove si immagina che Gesù Cristo rinasca nel quindicesimo secolo finendo per essere messo al rogo come eretico. Trump sarebbe questa immagine cristologica vittima di un sistema elefantiaco e kafkiano che lo spirito della suo rampantismo non è riuscito a dominare.
Tutto questo troppo intricante per essere anche vero. In
effetti la foto di Trump sembra fatta apposta per il lancio di un nuovo film. Non
si sa quanto questa trama attragga quel che resta dello spirito della frontiera
negli Stati Uniti. Si sa solo che è l’ultima speranza affinché il cittadino
Donald Trump esca dai suoi problemi. Sì perché negli States non ci sono i
servizi sociali come li ha fatti Berlusconi. C’è l’esilio come lo ha fatto
Craxi.
Ma anche questa sarebbe storia non per gli storici ma per
gli sceneggiatori.