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20 settembre '23 - Estetica
Addio Pensiero Debole
La reazione all'età della tecnica e alla fine dei grandi sistemi di pensiero aveva già mostrato i segni del tempo


Gianni Vattimo se n’era andato da tempo. Da quando dava notizia di sé solo attraverso note di cronaca rosa sulle sue difficoltà di persona a sostenere l’ultimo passaggio della sua vita terrena. Straziante il suo ultimo intervento nella trasmissione di Gruber quando era chiaro che l’uomo non era più in grado di portare a termine un discorso coerente.

Ma del resto è sull’incoerenza sostanziale tra logos e realtà effettuale che Vattimo aveva fatto il pilastro di una nuova corrente di pensiero la cui fortuna ha segnato il passo del dibattito negli anni Ottanta. Il Pensiero Debole prendeva le mosse da Lyotard, Gadamer e l’ultimo Heidegger per attestare l’impossibilità nell’era post moderna di trovare un pensiero conglobante sulle contraddizioni della propria fase. In effetti Vattimo diceva di più. Questo pensiero, in definitiva, non c’era mai stato. Le illusioni dei classici fino a Cartesio segnavano lo scacco nel quale ogni filosofia aveva sempre dovuto soccombere. Non facevano differenza, chiaramente, i pensatori caratterizzanti Illuminismo e Romanticismo. Ma dal loro canto avevano però il merito di aver fatto loro un campo di indagini rinunciando a contemplare la sfera inaudita dell’essere.

Ma il lato debole in cui si costituisce il pensiero come tale, non era possibile da enunciare – come coerentemente faceva notare Vattimo. Pena, il ricadere in una nuova forza. Se, dichiaratamente, una nuova visione del mondo non poteva ambire a considerarlo nella sua completezza tantomeno poteva definire sé stessa.

Volente o nolente, forse al di là delle sue vere prime intenzioni, i due libri curati da Vattimo – Il Pensiero Debole e la Condizione Post Moderna – ebbero un successo spropositato. Citati, vituperati, anche filologicamente villaneggiati dai loro colleghi, l’intuizione di Vattimo fece discutere negli anni Ottanta. Riportò il cespite di un pensiero nostrano al centro di un’attualizzazione della riflessione in cui, dopo Benedetto Croce, il nostro paese era da tempo assente.

Però non si può non guardare al centro del suo scaturigine la grande delusione derivata dai grandi sistemi di pensieri che già negli anni Ottanta abdicavano alla loro storicità. Marxismo, da una parte, Liberalismo e turbocapitalismo mostravano le aberrazioni quindi evidenziavano la grande delusione in cui i sistemi di pensiero si erano affermati nel mondo nell’età post-totalitaria.

Il pensiero di Vattimo, sebbene mai tematizzato in questo senso, non poteva non guardare allo sfondo di questa grande delusione in cui per la priva volta nella storia dell’umanità, un sistema di pensiero si era affermato come sistema di vita collettivo.

L’insegnamento del sistema ermeneutico professato nel Pensiero Debole, allora, doveva prendere le mosse dai suoi stessi consapevoli limiti. Affrontare ogni tematica così come si affrontano le asperità di un testo dove la conoscenza non può prescindere dalle lenti con cui l’analista si sforza di coglierne le caratteristiche di fondo. Ma all’accusa di soggettivismo e nichilismo, quella del Pensiero Debole, rispondeva guardando a questa condizione come oggettiva - cioè facente parte dell’oggetto di analisi - e costitutiva - essente sostanziale della capacità analitica osservante.

Col nuovo millennio del Pensiero Debole così della persona Gianni Vattimo era rimasto ben poco. Un ricordo per i suoi affezionati discenti, una nostalgia per chi era sopravvissuto dall’età delle ideologie o dei grandi pensieri conglobanti.

Difficile sarà il compito di riportarne una testimonianza fede-degna che valga nella Storia almeno il rispetto per qualcosa di caratterizzante di un’epoca. Ma forse Vattimo aveva previsto anche quello. La Storia non è vero che sia devi vincenti ma di chi sopravvive. Ed anche questa potrebbe essere una conclusione debolista.