Esattamente cinquanta anni fa moriva a Roma Anna Magnani.
Aveva 65 anni. Era un mito in Terra. L’esser stata la prima attrice non inglese
a vincere il Premio Oscar nel 1956 per La
Rosa Tatuata. L’aver interpretato in Roma
Città Aperta con la famosa scena in cui insegue disperatamente il camion di
soldati tedeschi che hanno preso il marito. L’interpretazione della madre
sognatrice e apprensiva nel film Bellissima
di Luchino Visconti (1951). E poi la magica interpretazione della protagonista nel
film di Pier Paolo Pasolini Mamma Roma (1962).
Ma resterà stagliata nella memoria di tutti anche per un suo cameo nel film di Federico
Fellini Roma (1972) in cui risponde al regista che le chiede di seguirla: “noo,
nun me fido!” Anna Magnani fin dall’inizio si impose non come semplice
interprete. Lei costruiva la sua parte. Chiedeva costantemente al regista degli
innesti con frasi, inquadrature, piccole varianti da lei supposte e di cui
chiedeva l’approvazione. Era nata come una maschera, ben diversamente da un’attrice
pura e semplice. Lei, come Totò, come Eduardo De Filippo, hanno inventato una
stagione nuova, sia dentro il neorealismo che nella voglia di affermare
talenti, narrazioni, immaginario generale del nostro paese. Oggi la si celebra
giustamente perché ha concorso a delineare un profilo del nostro paese uscito
dalle macerie della guerra mondiale e col complesso di colpa di aver inventato
il fascismo. Chi meglio di una donna? Chi meglio di lei nel dare corpo a un’immagine
di innocenza originaria ma non riducibile alla resa bensì indomita: una
combattente. Meglio una figura femminile per condensare questi aspetti.
Diversamente dalla paradossalità pura di Totò, dalla riflessione poetizzante di
Eduardo De Filippo, ma anche della malinconia crepuscolare di un Mastroianni o
dalla voglia di farcela con ironia e il cialtronismo dell’italiano medio del
grande Alberto Sordi. Lei ha potuto rappresentare il volto migliore dell’Italia
che si presentava al mondo. Come donna non aveva conti in sospeso, non aveva
colpe da farsi perdonare, ma quello sguardo che guarda fisso al centro della
drammaticità dell’esistenza per trarne il solito insegnamento: percorrerla è l’unica
possibilità che abbiamo per ri-viverla e in questa rappresentazione trarne un
momento consolatorio. Ed allora, forse per la prima volta, la bellezza di Anna
Magnani, non era nelle solite linee estetiche dell’eterno femminino che si
offre come redenzione in terra al mondo maschile. Piuttosto la voce della
coscienza più profonda che, guarda caso, sono coniugate al femminile. IL fatto
che oggi sia celebrata, non solo ricordata, dà tutto il senso di questo momento
coscienziale ancora in atto, non tramutato in ragione.