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12 novembre '23 - Semiotica
Il leone di Ladispoli
Non è un nuovo premio è il riferimento a un appuntamento mancato nell'evoluzione della specie


Anche a Ladispoli ci si trova immersi, inaspettatamente, davanti a uno stato di natura. Ma si è troppo vicini dal poterlo veramente apprezzare. E sicuramente è meglio così.

IL fatto clamoroso è stato lanciato da tutte le agenzie. Un leone, inspiegabilmente fuggito dalla recinzione di un circo in allestimento nella cittadina in provincia di Roma, ha creato il panico per ore. Pare quasi certo che i sigilli che costringevano il felino in una grande gabbia siano stati tagliati da sconosciuti per favorire la fuga dell’animale. Sta di fatto però che il leone se n’è uscito dalla gabbia e indisturbato per Ladispoli ha visitato la gradevole località di mare. È successo la sera di sabato 11 novembre.

Il fatto inevitabilmente ha creato clamore, non solo a Ladispoli dove è stata emessa l’ordinanza di massima allerta, si è chiesto fermamente di non uscire di casa e, anche chi doveva rientrare, è stato esortato a ripararsi in postazioni di garanzia. Il leone è stato riconsegnato ai circensi, addormentandolo senza alcun danno per la sua salute. Si tratta di un esemplare di sette anni in pieno possesso delle sue capacità fisiche.

Il fatto clamoroso chiaramente agita animalisti che da tempo chiedono una normativa affinché siano resi illegali quegli esercizi circensi nei quali sono impiegati degli animali. Rispondono le imprese dello spettacolo che ancora ne conservano e li propongono come attrazione per gli spettatori: “non esiste circo senza animali”. La discutibile asserzione è rafforzata dalla piena garanza sul fatto che il personale di zoologia non umana vive ogni confort in questo tipo di impresa dello spettacolo.

Vero o no, quanto è accaduto dovrebbe far riflettere sull’indefinito rapporto che l’umanità ha ancora col resto del mondo animale. E non si tratta solamente della ovvia paura di trovarsi la fiera nelle vicinanze, nell’antropologica impossibilità di rispondere ad evenienze di questo tipo. Non si tratta solo anche della follia di avere un animale che gira indisturbato in un centro urbano. (È poi una follia che diventa sempre meno follia, data la quasi normalità di vedere spuntare dei cinghiali nei quartieri di Roma Nord). Bensì dell’incapacità di tenere un rapporto che sia di garanzia per la propria incolumità, da una parte, ma anche di piena libertà, garanzia e autodeterminazione per il rappresentante occasionale del mondo animale. L’uomo si percepisce ancora come dominator e possessor mundi nella seicentesca convinzione che la natura sia un complesso di fenomeni solamente da conoscere per controllarli al meglio. Evitando l’idea, così, di esserne totalmente parte.

Quindi confliggono le due latitudini del proiettarsi sui diritti di un qualsiasi essere nello stato di natura, da una parte, contro l’immanenza di avere uno di questi rappresentanti davanti agli occhi al punto di poter determinare la fine del soggetto pensante. In mezzo a queste due latitudini si dovrebbe affermare il diritto, ma senza successo. Come possiamo negare il diritto di gustare uno spettacolo con il protagonismo animale con la piena garanzia che non siano stati perpetrati maltrattamenti? Come possiamo affermare l’autotutela stabilendo un solo comportamento, utile tale da salvaguardare il rispetto per il mondo animale e la difesa per la propria incolumità?

Sicuramente il leone che se ne gira tranquillo per Ladispoli non è una risposta. Almeno per i bontemponi che hanno deciso di rimuovere i sigilli dei cancelli che li tenevano in gabbia.