Si può dire che l’imminente fallimento di questa vasta
operazione riformistica e di accreditamento risorse segna l’incrinabile stato
di decadenza e caduta del nostro sistema? Tito Boeri non trarrebbe una
conclusione così lapidaria perché a differenza di chi scrive è persona educata
e accorta. La ricostruzione minuziosa che descrive nel testo da poco licenziato
nelle librerie però lo fa totalmente presagire.
Chiaro che riferendo il senso di un testo non si deve dire
chi è l’assassino. Ma come accade in qualsiasi giallo che si rispetti qui il
problema non è semplicemente la previsione di come andrà a finire bensì delle
ragioni e modalità per cui ci troviamo dentro un problema da cui non riusciamo
a districarci. L’autore però offre una liberatoria per il governo in carica. Le
responsabilità sono all’atto del concepimento, nella mancanza di determinazione
a rivederlo almeno nelle finalità raggiungibili, ma soprattutto il vuoto è di
totale mancanza di sistema e di cultura delle riforme. Tanto che dire di essere
in ritardo è dire poco.
Con questi fondi il nostro paese si è indebitato per 237
miliardi, di cui 123 miliardi che è quanto abbiamo ottenuto, più 69 miliardi di
sovvenzioni e 45 di fondi italiani ed europei. La “mancanza di realismo
originario” (pag. 102) deve essere l’architrave di tutta la descrizione.
Abbiamo chiesto più soldi possibili e poi abbiamo cercato il modo di spenderli (pag.
23) – è questo il vizio della presunta furbizia italiota che imposta in tutta
questa storia l’inevitabile fallimento.
Quasi scherzando Boeri fa un parallelo col Piano Marshall e
si chiede come mai quello funzionò e il PNRR si annuncia fallimentare? La
ragione è che il Piano Marshall era basico, prevedeva costi per beni basilari
che andavano da indumenti, alimenti fino a beni durevoli di cui c’era primaria
necessità. Col PNRR si è imposta la necessità di fare bandi, commissioni e poi
ricorsi, riforme e rendicontazioni.
Ma il male originario sta anche nella fallace cultura
economicistica. Si ritiene banalmente che la crescita sia basata sugli
investimenti e viceversa gli investimenti inevitabilmente producano la crescita
(pag. 29). Ma il problema è sempre dove si investe e se si centrano i reali
obiettivi. Boeri fa l’esempio degli anni Ottanta in cui l’Italia investì molto,
più della Spagna, ma ebbe una crescita inferiore. (Chiaramente, risponde chi scrive, si dovrebbe guardare anche le
condizioni del secondo piano di confronto e il livello di necessità, in questo
caso, di un paese che usciva dal franchismo). Questo solo per dire che il
piano, ritenuto, conseguenziale in verità non lo è. E non lo è, nel caso del
PNRR, perché la previsione delle riforme è sballata (pag.29).
E ammette anche: “per attuare gli investimenti previsti del PNRR
sarebbe stato più utile definire un livello appropriato di accentramento” (pag.
57). Ma pensare anche alle prospettive del poi. Sì, perché grandi investimenti
necessitano anche grandi spese di manutenzione (pagg.69 - 72).
E allora il metodo è quello tipico, furbesco, all’italiana.
Le prime due rate avevano obiettivi facili e formali (pag. 91). Ci si aiuta col
trionfalismo della comunicazione (pag. 93). Ma poi arrivano gli obiettivi
difficili che governare è possibile solo con un livello appropriato di
accentramento delle decisioni che veda sullo stesso piano governo ed enti
locali. La Scuola e le ristrutturazioni degli edifici sono l’esempio degli
errori che si compiono quando la retorica diffusa dice: ci sono i soldi. Non ci
sono però le idee per impiegarli. Ridicoli alcuni progetti, sempre nell’ambito
scolastico, che parlano di intelligenza artificiale e dati neuronali per
intendere l’alfabetizzazione al Kindle e all’ iPad. E sempre restando in tema
ai piani alti, quelli istituzionali, la “migrazione sul cloud” è in altomare e
la piattaforma digitale fallita (pag. 121.).
Ma la retorica fondamentale sui quali erano nati i PNRR voleva
che l’Europa ci desse con queste derrate di danaro lo stimolo, ma anche l’obbligo,
a fare riforme di sistema fondamentale. Ne erano state contate sessantatré (pag.
109). Quindi tutto questo si presterà alla dialettica asfittica per cui “se non
sono partiti i PNRR è perché non sono state fatte le riforme”. Oppure: “non
sono state fatte le riforme ed è per questo che i PNRR non sono decollati”.
Tutto chiacchiera della politica nella quale, nuovamente, si assolve il governo
in carica per dare responsabilità ai due precedenti: Antonio Conte e Mario
Draghi. Ma il problema è un Eterno Ritorno nella storia riformistica del nostro
paese: il mancato equilibrio che c’è sempre stato tra le due necessità da
perseguire parallelamente e sono accentramento e decentramento. Solo in
comparti diversi nella vita dello Stato.
(Tito Boeri, Roberto Perotti, La Grande Abbuffata, ed. Feltrinelli Milano ottobre 2023 pagg.194)