Impossibile sintetizzare attraverso la selezione di tutti
riferimenti storici precisi che lo hanno visto protagonista. Il centenario
Henry Kissinger pare che ancora ricevesse personalità statunitensi per
consulenze d’eccezione su problematiche relative alla politica. Di formazione
storicistica, Kissinger in tenera età dovette fare le valige dalla Germania
dove era nato per le persecuzioni contro la popolazione ebraica. Formatosi,
quindi, nella durezza delle asperità ma anche nella precisione dei propri
convincimenti dovette imparare da giovane a capire in breve tempo le condizioni
ambientali poste davanti alla sua facoltà di intervento. Conservò sempre un
cinismo e una lucidità nel trovare la soluzione meno sgradita che fu
riconosciuta anche dal fronte democratico verso il quale avrebbe potuto essere
reclutato se non avesse già dato troppo ai repubblicani di Nixon.
Con Kissinger entriamo in un’altra categoria della politica.
Quella agita sulla base dell’eterogenesi dei fini – quella spiegazione che si dà di un fatto storico ricostruendone le
diverse ragioni, anche contraddittorie, che li hanno determinati. Possiamo
dire che Kissinger aveva la rarissima qualità di calcolarli questi fattori,
ponderarli, di lì trovare la soluzione come se si fosse risolvendo un problema
matematico. Necessario in questo fare di cose concrete, quale è sempre la
politica, non avere sentimenti.
Una frase di Kissinger resterà alla Storia e dovrebbe
rimanere stampigliata in ogni commentatore: “spesso si giudica l’azione di uno
Stato attraverso la sua personificazione e mettendolo in relazione ad altre
persone. Ebbene, questo metodo è sbagliato”. Kissinger intendeva dire che in
politica sussiste un’etica che però muove attraverso categorie diverse da
quelle utilizzate nell’etica delle cose comuni. Consiste nel fondo dell’insegnamento
lasciatoci da Niccolò Machiavelli, di cui però aveva il capriccio di dire non
essere un grande conoscitore. Del Segretario Fiorentino aveva lo stesso tratto
del grande consigliere: colui che prestava consiglio al sovrano fino a
diventarne un’articolazione insostituibile.
Sbaglia chi dice che per il fatto di non essere nativo degli
Stati Uniti non ha potuto concorrere all’elezione di presidente degli Stati
Uniti per essere sicuramente eletto. Kissinger quasi sicuramente, non avrebbe
mai sopportato una carriera di questo tipo. Troppo clamore, troppe lungaggini,
troppi inutili discorsi, troppe strette di mano e sorrisi compiacenti.
Kissinger preferiva la penombra. Far sentire la sua voce solo quando il
silenzio sarebbe stato un errore che avrebbe portato a conseguenze peggiori.
Tutto il resto è Storia. Ma il grande, il vero del suo
lavoro, sicuramente non è stato ancora scritto ma probabilmente sarà scoperchiabile
andando a guardare dentro gli archivi di Stato secretati. Incertezza sul suo
vero ruolo nel colpo di Stato di Pinochet in Cile nel 1973. Ancora non del
tutto definite le dinamiche finalistiche nella grande riconciliazione con la
Cina di Mao Tze Tung. Prevalente ma incerto nelle proporzioni il suo lavoro
nell’arginare l’estendersi dell’esercito sovietico in Vietnam accentuando i
termini di un’autentica guerra sulla quale sarebbe stata coinvolta anche la
Cambogia. Ma poi c’è tutto un ruolo di sostegno a Israele (guerra del Kippur, 1973) nella sua contesa pluridecennale in Medio
Oriente contro i diversi nemici che si opponevano alla sua piena affermazione
di nazione in un contesto territoriale impossibile.
Diverse operazioni che si sintetizzano con l’obiettivo di
resistere nell’immagine data agli Stati Uniti, visti in tutto l’Occidente, come
potenza garante dell’economia di mercato.