In giornata aveva avuto un malore per cui gli era stato
necessario il pronto ricovero. Nel pomeriggio avevano annunciato che sarebbe
stato operato. Ma in serata appena prima delle otto, ne è stato annunciato il
decesso. Aveva settantanove anni. Una vita condotta sempre all’insegna della
regola da non trasgredire mai: la sua.
Gigi Riva si è imposto all’attenzione di tutto il paese come
leggenda giovane perché il suo calcio era originale. Un attaccante, nato
centroavanti ma lo vedevi virare a sinistra perché mancino. E sempre dal
sinistro scoccare le sue bordate pazzesche che non lasciavano scampi al
portiere.
La sua grande qualità era quella di riuscire anche a fare
manovra. Un ruolo inusitato per un attaccante di quei tempi, laddove gli uomini
di punta era abituati ad aspettare la palla buona. Il loro unico compito era
quello di farsi trovare pronti. Gigi Riva era qualcosa di più. Sebbene non infaticabile
agli allenamenti, fumatore, dava tutto in campo e partecipava al gioco dei
centrocampisti.
Dal carattere melanconico e umbratile, non indulgeva davanti
alle foto. Non ci teneva ad essere simpatico. Difficilmente riuscivi a vederlo
sorridere. Ma era in campo che dava tutto senza risparmiarsi. E di questo i
tifosi se ne accorgono. Non polemizzava con gli arbitri, non ne aveva bisogno.
Non malediva i difensori che lo marcavano stretto. La carriera funestata da due
brutti incidenti alla caviglia che avrebbero potuto compromettere
definitivamente la carriera. In quei tempi succedeva.
Gigi Riva ha vinto con la nazionale un campionato europeo
nel 1968. Due anni dopo si ricordano le sue res gestae nel Mondiale in cui gli
azzurri dovettero soccombere davanti il Brasile multistellare di Pelè, Rivelino
e Tostao.
Leggendario il solo campionato vinto con il Cagliari nel 1970.
Una squadra che precedentemente non avrebbe mai potuto sognare un risultato
come questo, il ben figurare nella massima divisione era la sola aspirazione
per decenni. Il Cagliari per Gigi Riva fu invece una scelta di vita. Ammise
dopo diversi anni che a rafforzare questa scelta ci fu una donna e l’esserne
innamorato. E fu la decisione per cui in quel clima incantevole rifiutò le
lusinghe della Juventus disposta a pagare un miliardo per il suo ingaggio.
Ed è qui è iniziata la leggenda di Gigi Riva. Aldilà dei
meriti da calciatore, dimostrava che nella vita ci sono delle scelte a cui si
arriva per determinazione propria rifiutando qualsiasi pressione dall’esterno,
instaurando tra sé e il mondo un giusto distacco.
Erano anni in cui i campioni allo stadio non esorbitavano in
altro, che sia sociale, mondano o politico. Gigi Riva tenne sempre la giusta
distanza tra sé il resto. La Federazione Calcio Italiano per quello che aveva
rappresentato e per l’immagine imperitura trasmessa di sé gli dette un incarico
di rappresentanza per l’organizzazione della nazionale italiana. E di quello ha
vissuto nel resto dei suoi giorni.
Fumatore incallito, non voleva essere un esempio. L’essere
campione, quindi modello, era un qualcosa che gli usciva naturale dalla capacità
di creare un mondo tutto suo di cui avevi percezione anche al solo guardarlo e
porsi nei confronti degli altri. Mai una polemica, mai una parola fuori posto.
Ma la fermezza di un uomo che sapeva cosa voleva. Aveva sempre declinato
interviste da ex campione dal sapore crepuscolare. Di lui parlavano bene le
immagini, il mito. La vivida rappresentazione incarnata nei ricordi dei ragazzi
che eravamo. E forse lui dobbiamo tutti ringraziare per aver acquisito un po’
di quella ruvida, ma concreta consapevolezza di quello che deve essere il
proprio posto nel mondo.
Un campione etico, al di là del merito sportivo.
Gli sia lieve la
terra.