Conobbi Humphrey Bogart sul suo amato yacht, il Santana attraccato a Long Beach. Chiaramente a bordo non eravamo solo noi due. Lo trovai a gongolare con i suoi più stimati soggettisti. C’erano infatti John Houston, Merk Hellinger, Howard Hawks e l’immancabile Lauren Bacall.
Dimenticandosi di essere una diva serviva cocktail e si compiaceva dei convenevoli coi suoi ospiti che spesso si trasformavano in sciocchi doppi sensi e in battute da caserma.
Humphrey era divertito quasi fosse a teatro. Mi siedo accanto a lui, quasi a conforto di tanto divismo concentrato in una barca. Lui gentilissimo mi sorride e, mentre gli altri parlano, sottovoce mi dice di Lauren: “In questo concentrato di testosterone creativo l’unica cosa che le impedisce di fare compagnia ai pesci è la sua intelligenza”. Ne era ammirato. Provo a obbiettare.
Ma l’intelligenza con questi interlocutori non è un anticoncezionale adeguato.
Lui si gira di scatto e mi fulmina con un sorriso.
L’avevo conquistato.
Bogart interveniva solo di tanto in tanto, a commento della scenetta in cui tutti si divertivano a parlare di lui come della maschera che aveva dato vita ad una persona vera e propria. L’allusione era al fatto che avendo fondato una propria casa cinematografica indipendente, la Santana Pictures Corporation, poteva scegliere i copioni, i film, i ruoli da interpretare. “Santana” era il nome gli si era proprio stampato in testa a differenza dei copioni che non quasi si rifiutava di memorizzare.
“Riesco a lavorare solo per sei riprese, cioè per la stessa scena ripetuta sei volte, dopo di che inizio a dimenticarmi le battute” – Spiegava ai suoi. Ed anche questo faceva parte del personaggio che non riteneva nulla e non programmava nulla. Neanche cosa avrebbe fatto la sera.
Mister Bogart – irruppi, altrimenti l’intervista si sarebbe conclusa in tranquillo convenevole tra alcoolisti celebri – crede che la nuova frontiera dell’attore sia il superamento della scrittura scenica, del copione?
“Amico, ti facevo più scaltro. Io non ricordo un’acca di quello che debbo dire sul set. E dopo averlo detto cinque-sei volte non ne posso più, debbo fermarmi, debbo prendere un drink, debbo ricominciare. Ma il giorno dopo! Non ci condire sughi da francese esperto di libri. La storia è tutta qui!”.
Ha dato vita alla Santana Pictures Corporation. Quindi potrà scegliere i suoi testi evitando di essere diretto. Non le sembra che doveva qualcosa ai suoi autori?
“Debbo tutto a loro. Queste persone che vede qui con me hanno concepito il personaggio Humphrey Bogart. Ma c’è un tempo per tutto. Dopo aver pulito barche per anni, fatto il mozzo, essere equipaggio e aiuto, devi salpare per conto tuo. E non importa se il mare è ancora grosso. Lo devi fare. Altrimenti resterai sempre nella pancia di quelli che ti hanno formato. Meglio esser nella pancia della balena!”
Ne “L’ammutinamento del Caine” lei dà prova di esser attore d’avanguardia. Come è riuscito questo passaggio?
“Quel film ha mancato l’appuntamento con la Storia. Poteva essere un autentico capolavoro, ma con una storia d’amore inutile all’interno della vicenda, un pessimo montaggio, musica banale e imponente sarà spazzato via. Il personaggio di Queeg invece rimarrà.
Il suo scudo di certezze granitiche crolla davanti alla tensione prolungata dell’interrogatorio e sono convinto che sarà ripreso tantissimo nel Cinema.” La pausa. E poi: “naturalmente posso riferire queste cose solo in base alla mia memoria”.
A proposito di memoria, le piace di più essere ricordato come Rick in Casablanca oppure come l’ispettore Marlowe?
“Non ci penso proprio ad come sono ricordato. Vivo in fretta perché sento che morirò giovane. E cercherò di essere un bel cadavere.”
Parliamo un po’ di Casablanca…
“Ma sì, parliamone. Abbiamo di meglio da fare?”
Lì è nato l’antieroe: l’uomo che perde ma per l’etica ha vinto…
“Oddio mio voi europei! Lei non è francese vero? Già ho il mal di testa. Luaren! Mi fai il solito drink di J&B?”
Qual è la scena che ricorda con maggior piacere in Casablanca?
“Lei si aspetterebbe che io dica la scena finale con Ingrid quando la convinco a partire senza di me ma col marito perché quello è il suo destino. Oppure le sequenze dei ricordi parigini con Ingrid o l’incontro teatrale a Casablanca oppure quando la notte Ingrid si fa trovare nel mio appartamento…”
Quale di queste?
“Faccia un po’ lei. Le chiedo solo di decidere una in cui ho il primo piano almeno per un attimo.”
Lei non ha nemmeno un ricordo più in intenso in quel set con Ingrid Bergman?
“Ho solo una battuta in mente. Quando brindiamo con dello champagne a Parigi: “Alla tua salute bambina!” Mi sembra che il film sia tutto lì. Esalta come gli uomini vedono la propria donna disoccupandosi completamente della sua verità. Ed è questo che ci consente di rimanere intrappolati da loro.”
“Sabrina”. Vogliamo parlarne?
“Certo. Chi è Sabrina? La sua donna?”
“Sabrina” è l’ultimo film che ha girato con Audrey Hepburn e William Holden, regia di Billy Wilder…
“Santi Numi! Cosa mi costringe a ricordare! Un’esperienza devastante lavorare con un puritano come William Holden una bambina viziata che pensa di sapere tutto solamente perché sa dove andare lei. I giornalisti sempre attorno…”
E Billy Wilder?
“Mi è antipatico. Presuntuoso e narcisista. Se almeno fosse stato omosessuale come Truman Capote avremmo completato il trittico! Con gli altri due e con le altre due sue caratteristiche. E adesso non le dispiace se non la riaccompagno mentre guadagna terra ferma a nuoto. Vero?”