Tutti sanno che ognuno di noi è, per così dire, monitorato. Gusti, tendenze, consumi preferiti, accesso a risorse proprie e facilità nel poter disporre di quelle di altri ... Il tutto affinché il sistema finanziario sappia chi è colui che chiede credito. Ma anche per i grandi sistemi produttivi per capire chi siamo e quanti prodotti debbano essere realizzati per trovare credibilmente un mercato.
Tutto questo un marxista
d’antan lo definirebbe svolta tecnologica del capitalismo che oramai è
integrato profondamente nei circuiti di alta elettronica computazionale per
capire cosa deve fare e, se del caso, farlo. Il problema del capitalismo è
sempre stato quello di prevedere il suo mercato. Nel secolo scorso la polemica
ricorrente era quello di indurre dei bisogni artificiosi che, avendoli creati, il
mercato provvedeva a soddisfare.
Nel terzo millennio chi produce deve sapere tutto di noi: da
quanto pane mangiamo a di quanta tecnologia abbiamo bisogno, come riusciamo a
dare soddisfazione alla sfera del bisogno.
Si cannoneggia inutilmente sull’invenzione della privacy
ordita proprio perché è stata smantellata. Si crea un diritto violato per un
diritto insussistente al fine di creare l’infinito circolo vizioso.
Ma una persona comune è totalmente destituita da alcun
interesse per quello che, sempre con definizione d’antan, veniva chiamato capitalismo, ma potremmo chiamarlo,
industrialismo, o anche mercato.
Fin quando questa persona qualunque acquisisce una posizione
preminente. Ha la capacità di agire, diventa un rappresentante pubblico, trova
credito presso gli altri. Lì parte il setaccio su tutto quanto si può sapere di
lui.
Lo stesso armamentario è utilizzato per controllare ogni
passaggio finanziario tollerando operazioni e giri, fin quando non si passa il
limite o si entra nel mirino delle attenzioni di qualcuno. Allora cambia il
gioco.
Queste righe dovrebbero servire come vademecum della vita
moderna. Quando un personaggio inizia ad essere scomodo parte il servizio. Di
qui l’opera di dossieraggio che riguarda o può riguardare ciascuno di noi.
Ed è in questa fase che entrano i giornali. Sono gli utili
idioti che servono per rendere pubbliche certe cose precedentemente rimaste
celate. Succede allora che una ministra, pur discutibilissima e a molti
antipatica politicamente, veda scoprire gli altarini delle sue attività aziendali.
Succede che un sottosegretario eccentrico e ben conosciuto per le sue bizze si
trovi il servizio su acquisizione di un’opera d’arte il cui acquisto risulta
derivato da un furto. Era una nozione che non interessava far conoscere fin
quando il personaggio si decide debba esser tolto di mezzo.
A questo fine sono promossi programmi televisivi. E nessuno
si chiede come mai in un palinsesto di programmazione così compassato,
commendevole, con eventuali varianti sempre comprimibili nel piano della
piccola evasione, si conceda spazi di autentica contro-informazione. Chi la fa
questa contro-informazione? Dove sono questi agenti segreti? Chi è disposto a
rischiare tanto con pericolo di insuccesso?
Il sistema delle informazioni incrociate invece consente di
vedere tutto. E quando deve emergere qualcosa da chi è fastidioso, allora
emerge. Non c’è altro. I giornalisti in questo gioco sono i raccattapalle.
Servono a riportare sul campo le sfere che ne sono uscite.