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22 aprile '24 - Semiotica
I cento anni di Rossanda
Li avrebbe compiuti oggi 23 aprile, tante manifestazioni per ricordarla


Difficile spiegare Rossana Rossanda a chi non ne ha condiviso storia ed orientamenti, tanto più a una persona giovane che si orienta inevitabilmente attraverso l’attuale per introiettare delle categorie politiche scolpite da una necessità. Quelle di una società diversa, che non guardasse alle esperienze della Russia, me neanche condividesse le estremizzazioni della Cina almeno per quanto arrivava alle nostre corrispondenze. L’esperienza di Cuba una e un sogno da coltivare più come scelta estetica che come prospettico di veri orientamenti sul fare della lotta di giorno dopo giorno.

Come e perché allora dirsi “comunista” se, come avvenuto dopo la falcidia di Piazza Tien Ah men dovette rilevare la coniugazione a un sistema repressivo. Inevitabilmente viene da pensare ad un errore nel sistema. Eppure Rossana Rossanda non ha mai declinato dal suo orientamento verso questa dimensione di pensiero necessario però di una vera concrezione nelle cose da fare tutti i giorni. Perché quella del comunismo non può rimanere un’idea in astratto. Consiste nel modo attraverso cui la classe di oppressi spezza la costrizione determinata dai mezzi di produzione rovesciando lo stato delle cose. Strettamente come ci aveva insegnato Karl Marx.

Indifferente in tarda età all’avanza di un movimento prorompente che sembrava, in alcuni tratti, riprendere i tropi tipici della contestazione del Settantasette. Tanto che il collega de Il Manifesto, Valentino Parlato, l’aveva preso come sua espressione vera e attuale per il ribaltamento a questo stato di cose. Rossanda aveva sentenziato invece: “non esistono”. In una fortunata trasmissione televisivo dove aveva concesso una delle sue ultime interviste non era affatto persuasa dal percorso intrapreso da questa nuova andata di protesta.R

Le ragioni sono nel fatto che se non ci si pone il ribaltamento degli attuali rapporti di potere ogni altro intervento riformatore tornerà ad essere riassorbito nelle fauci del grande capitale.

Ma il contributo storico, ma oramai solamente memoriale, che dette Rossanda Rossanda all’evoluzione del pensiero moderno consiste nella rottura senza infingimenti con l’Unione Sovietica. Era diventato un sistema repressione forse anche peggiore di un qualsiasi regime liberale perché a differenza di questo ultimo alcune garanzie formali di indipendenza del cittadino non erano rispettate. Tutto questo rimanendo nel solco del comunismo. Anzi, rafforzando i sedimenti filologici tanto da chiamare Il Manifesto il settimanale, prima, e poi quotidiano, che formerà con Aldo Natoli, Luigi Pintor, Lucio Magri e il già citato Valentino Parlato.

All’interno della pubblicazione, scarna, senza aiuto di immagini, solo le analisi sorrette dalle parole elaborate da tanti anni di elaborazione. Non si portava solo il senso di un commento bensì il riportato di un’elaborazione che partiva sempre da lontano. IN questa nuova impostazione l’apertura poteva essere data da un fatto apparentemente marginale, come l’uscita di un libro o di un film, oppure la costituzione di una sorta di comitati di fabbrica nella Repubblica Popolare Cinese.

Rossanda ci ha insegnato a non fare sconti a nessuno. L’analisi politica, se deve essere finalizzata a comprendere e dare illuminazione per il da fare nell’azione, non può guardare ad infingimenti o tesi di comodo.

Succede così che nell’elaborazione delle radici del terrorismo dopo il rapimento e assassinio di Aldo Moro ammetta, per prima e unica, nel mondo della sinistra, che quei terroristi non sono il frutto di una macchinazione ordita dai servizi segreti e neanche il combinato disposto di infiltrazioni della Cia. Queste sono poco più che divagazione desiderose di prova. Quei brigatisti escono tutti da un “album di famiglia”. E l’espressione divenne categoria diffusa nel dibattito, anche se definitivamente, mai digerita fino in fondo.

La grande bestemmia per una donna impegnata personalmente e intellettualmente nelle battaglie di liberazione degna di nota fu il suo smarcarsi dal femminismo. Ogni lotta di emancipazione e crescita non differire dalla centralità della lotta di classe per trovare il fondo della sua ragione d’essere e la leva per la sua liberazione. Se le donne nella Storia sono state oggetto di processi che nascevano e morivano al di là delle loro teste questo era dovuto non solo al fatto che il mondo è sempre stato governato dagli uomini, bensì che i rapporti di forza nella famiglia dovevano ricalcare il modello di sfruttamento con il quale il lavoro è articolato nelle nostre società.

Una mente così libera come la sua non poteva stare a lungo nelle maglie del vecchio Partito Comunista, intrappolato in schematismi in cui si doveva salvare una realistica prassi riformista insieme all’altro binario in cui si dialogava costantemente con il Partito Comunista Sovietico. L’attenzione sempre protesa verso nuove elaborazione all’interno del marxismo come quella dei dissidenti sovietici ma soprattutto il pensiero di Althusser, anche se conteneva delle forzature a lei poco gradite.

Sono solo esempi, tra i più celebrati, a costituire la diversità di questa grande giornalista ma soprattutto donna di pensiero. Ed è difficile, ma per meglio dire impossibile, immaginare oggi cosa avrebbe detto di questa scena politica e di un governo di destra con un’opposizione divisa e inane.

Tanto da far sembrare assolutamente inutile questo esercizio di stile. Le sue analisi servono però alla scrittura della Storia in senso maggiormente comprensivo delle grandi differenze sussistenti in età caratterizzata dalla Guerra Fredda e dalla politica mondiale dei due blocchi.

Rossanda sbloccò molte categorie precostituite pur preservando un impianto forte. Dimostrò sul vivo, quindi, che la diversità si può praticare anche nel solco dell’ortodossia.