Difficile spiegare Rossana Rossanda a chi non ne ha condiviso storia ed orientamenti, tanto più a una persona giovane che si orienta inevitabilmente attraverso l’attuale per introiettare delle categorie politiche scolpite da una necessità. Quelle di una società diversa, che non guardasse alle esperienze della Russia, me neanche condividesse le estremizzazioni della Cina almeno per quanto arrivava alle nostre corrispondenze. L’esperienza di Cuba una e un sogno da coltivare più come scelta estetica che come prospettico di veri orientamenti sul fare della lotta di giorno dopo giorno.
Come e perché allora dirsi “comunista” se, come avvenuto
dopo la falcidia di Piazza Tien Ah men dovette rilevare la coniugazione a un
sistema repressivo. Inevitabilmente viene da pensare ad un errore nel sistema.
Eppure Rossana Rossanda non ha mai declinato dal suo orientamento verso questa
dimensione di pensiero necessario però di una vera concrezione nelle cose da
fare tutti i giorni. Perché quella del comunismo non può rimanere un’idea in
astratto. Consiste nel modo attraverso cui la classe di oppressi spezza la
costrizione determinata dai mezzi di produzione rovesciando lo stato delle
cose. Strettamente come ci aveva insegnato Karl Marx.
Indifferente in tarda età all’avanza di un movimento
prorompente che sembrava, in alcuni tratti, riprendere i tropi tipici della
contestazione del Settantasette. Tanto che il collega de Il Manifesto,
Valentino Parlato, l’aveva preso come sua espressione vera e attuale per il
ribaltamento a questo stato di cose. Rossanda aveva sentenziato invece: “non
esistono”. In una fortunata trasmissione televisivo dove aveva concesso una
delle sue ultime interviste non era affatto persuasa dal percorso intrapreso da
questa nuova andata di protesta.R
Le ragioni sono nel fatto che se non ci si pone il
ribaltamento degli attuali rapporti di potere ogni altro intervento riformatore
tornerà ad essere riassorbito nelle fauci del grande capitale.
Ma il contributo storico, ma oramai solamente memoriale, che
dette Rossanda Rossanda all’evoluzione del pensiero moderno consiste nella
rottura senza infingimenti con l’Unione Sovietica. Era diventato un sistema
repressione forse anche peggiore di un qualsiasi regime liberale perché a
differenza di questo ultimo alcune garanzie formali di indipendenza del
cittadino non erano rispettate. Tutto questo rimanendo nel solco del comunismo.
Anzi, rafforzando i sedimenti filologici tanto da chiamare Il Manifesto il
settimanale, prima, e poi quotidiano, che formerà con Aldo Natoli, Luigi Pintor,
Lucio Magri e il già citato Valentino Parlato.
All’interno della pubblicazione, scarna, senza aiuto di
immagini, solo le analisi sorrette dalle parole elaborate da tanti anni di
elaborazione. Non si portava solo il senso di un commento bensì il riportato di
un’elaborazione che partiva sempre da lontano. IN questa nuova impostazione l’apertura
poteva essere data da un fatto apparentemente marginale, come l’uscita di un
libro o di un film, oppure la costituzione di una sorta di comitati di fabbrica
nella Repubblica Popolare Cinese.
Rossanda ci ha insegnato a non fare sconti a nessuno. L’analisi
politica, se deve essere finalizzata a comprendere e dare illuminazione per il
da fare nell’azione, non può guardare ad infingimenti o tesi di comodo.
Succede così che nell’elaborazione delle radici del
terrorismo dopo il rapimento e assassinio di Aldo Moro ammetta, per prima e
unica, nel mondo della sinistra, che quei terroristi non sono il frutto di una
macchinazione ordita dai servizi segreti e neanche il combinato disposto di
infiltrazioni della Cia. Queste sono poco più che divagazione desiderose di
prova. Quei brigatisti escono tutti da un “album di famiglia”. E l’espressione
divenne categoria diffusa nel dibattito, anche se definitivamente, mai digerita
fino in fondo.
La grande bestemmia per una donna impegnata personalmente e
intellettualmente nelle battaglie di liberazione degna di nota fu il suo
smarcarsi dal femminismo. Ogni lotta di emancipazione e crescita non differire
dalla centralità della lotta di classe per trovare il fondo della sua ragione d’essere
e la leva per la sua liberazione. Se le donne nella Storia sono state oggetto
di processi che nascevano e morivano al di là delle loro teste questo era
dovuto non solo al fatto che il mondo è sempre stato governato dagli uomini,
bensì che i rapporti di forza nella famiglia dovevano ricalcare il modello di
sfruttamento con il quale il lavoro è articolato nelle nostre società.
Una mente così libera come la sua non poteva stare a lungo
nelle maglie del vecchio Partito Comunista, intrappolato in schematismi in cui
si doveva salvare una realistica prassi riformista insieme all’altro binario in
cui si dialogava costantemente con il Partito Comunista Sovietico. L’attenzione
sempre protesa verso nuove elaborazione all’interno del marxismo come quella
dei dissidenti sovietici ma soprattutto il pensiero di Althusser, anche se
conteneva delle forzature a lei poco gradite.
Sono solo esempi, tra i più celebrati, a costituire la
diversità di questa grande giornalista ma soprattutto donna di pensiero. Ed è
difficile, ma per meglio dire impossibile, immaginare oggi cosa avrebbe detto
di questa scena politica e di un governo di destra con un’opposizione divisa e
inane.
Tanto da far sembrare assolutamente inutile questo esercizio
di stile. Le sue analisi servono però alla scrittura della Storia in senso
maggiormente comprensivo delle grandi differenze sussistenti in età
caratterizzata dalla Guerra Fredda e dalla politica mondiale dei due blocchi.
Rossanda sbloccò molte categorie precostituite pur
preservando un impianto forte. Dimostrò sul vivo, quindi, che la diversità si
può praticare anche nel solco dell’ortodossia.