” Contestiamo in questo luogo e in tronco la validità delle
elezioni della maggioranza… L'elezione secondo noi è essenzialmente non valida,
e aggiungiamo che non è valida in tutte le circoscrizioni… Per vostra stessa
conferma - cioè i parlamentari fascisti - dunque nessun elettore italiano si è
trovato libero di decidere con la sua volontà... Vi è una milizia armata,
composta di cittadini di un solo Partito, la quale ha il compito dichiarato di
sostenere un determinato Governo con la forza, anche se ad esso il consenso
mancasse”.
Fu il discorso che il 30 maggio Giacomo Matteotti pronunciò alla
Camera. Fu l’ultimo. Era il 1924. Oggi ci si interroga se Il deputato
socialista avesse compreso perfettamente la portata dell’intervento repressivo
messo in piedi dalla macchina fascista di quei tempi. Probabilmente però lo
aveva capito benissimo, tanto che si pose come olocausto perché una coscienza
democratica si risvegliasse in Italia. In tal senso ebbe ragione. Il governo di
Benito Mussolini ebbe una vita difficile conseguentemente al ritrovamento del
cadavere di Matteotti. E subito partirono le accuse, le chiamate in responsabilità
imputate allo stesso Mussolini, sia sotto il profilo di una responsabilità
generica sia per aver ordito il comando per neutralizzare quel deputato
insolente che avrebbe dovuto smetterla di parlare.
Le ragioni per
ricordare
Si vuole chiarire che qui
non si intende fare l’apologia di Matteotti né si intende minimamente
rinverdire i motivi di un “antifascismo” che ai giorni d’oggi non ha motivo di
esistere. Le forze di destra vivono a pieno titolo nella compagine dialettica
della democrazia e di questo strumento non potrebbero più fare a meno.
Il tentativo di queste
righe consiste nel recuperare un valore nella coscienza storica che è quello
della consapevolezza ed è anche quello di porsi nei termini di scenari
controfattuali. Si dice che la Storia non è fatta di “se”. Ma se non ci fossero
le ipotesi che guardano agli scenari possibili di specifici contesti storici,
perderebbe senso parlarne. La Storia sarebbe solo accumulo di testimonianze per
la momentanea accettazione di quel che è stato tramandato.
Con questa operazione
intendiamo accingerci a una fatica ancora più impegnativa. Capire come fino a
dove deve e può spingersi la testimonianza diretta come metodo di lotta per
cambiare lo stato di cose.
Anche un militare deve
proteggere la sua vita come bene sostanziale per la lotta che sta effettuando.
Altrimenti con la morte del soldato c’è un vantaggio per il nemico.
La coscienza eroica e
civile di quel grande riformista che fu Matteotti, non si fermò davanti alle
intimidazioni di cui era stato fatto precedentemente vittima. Parlò a chiare
lettere nell’assemblea parlamentare interrotto da grida e irrisioni da parte
dei deputati fascisti.
Mentre si recava in Parlamento, qualche giorno dopo, il rapimento e la funesta fine.
L’accusa
Matteotti senza indugiare fece il discorso alla Camera
denunciando il partito fascista di brogli elettorali nelle elezioni del 6
aprile 1924. Ma, a detta sua, il deputato socialista ne aveva da dire anche
sulle vicende di corruzione per la concessione petrolifera alla Sinclair che
coinvolgevano il fratello del Duce. Un atto, a dir poco temerario. Proprio lui
che conosceva bene la violenza delle “squadracce fasciste”.
Terminato il discorso disse ai suoi compagni di partito:
“Io, il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”.
E ancora: “Uccidete pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai”. Aveva
detto in altre circostanze. Un’attestazione per cui probabilmente il deputato
socialista viveva la sua missione politica essenzialmente come testimonianza.
Il 3 gennaio 1925 Benito Mussolini fa un discorso alla
Camera dove si assunse la "responsabilità politica, morale e storica"
del clima nel quale l'assassinio si era verificato.
I suoi stessi compagni di partito lo chiamavano “Tempesta”
per il suo tratto ardito e il polemismo che non lasciava indietro niente. Matteotti
fu eletto in Parlamento nel 1919. La sua circoscrizione era Ferrara-Rovigo, rieletto
nel ‘21 e nel ’24. Era uno studioso attento, si applicava per ore a studiare i
documenti nella biblioteca della Camera. Le violenze fasciste erano il suo
argomento ricorrente. Nel ‘21 in un’inchiesta sulle gesta dei fascisti in
Italia ebbe il coraggio di denunciare, per primo, il fatto che l’avanzata dei
fascisti avveniva per timore della controparte annichilita dalla protervia
aggressiva delle camicie nere. Ma la sua irruenza non era capita dai suoi
stessi compagni che nel 1922 lo espulsero dal Partito Socialista Italiano.
Matteotti era legato a Turati ma la sua componente riformista non faceva sconti
all’avversario. La sua componente formò il Partito Socialista Unitario e
Matteotti fu eletto segretario. (È un tratto tipico della sinistra italiana.
Quando si stacca un pezzo nel formare il nuovo soggetto politico si parla di
Unità già nella radice sociale del nome, anche se l’attività unitaria è stata
appena abbandonata).
La sua irriducibilità antifascista volle sollevare
l’attenzione del mondo sulla situazione italiana che si stava facendo sempre
più complicata e a senso unico. Quella fascista non si presentava, secondo
Matteotti, come una semplice stretta temporanea dovuta alle paure della
borghesia per gli scioperi generali. Il fascismo iniziava a rappresentare una
condizione permanente della vita politica italiana.
Scrisse, per questo, un saggio in inglese dove parla di una
dominazione che deve far tremare tutta l’Europa. È il 1924. Qui Matteotti come
un consumato cronista evidenzia tutti gli episodi di intimidazione e violenza
da quando il fascismo era diventato forza governante. La sua è una voglia di
documentare, al di là dello “strisciare del teorico”.
Ma il suo fine consiste però nel rilevare come lo squadrismo
fascista fosse solo il braccio armato degli speculatori e dei capitalisti. Se
l’Italia si stava riprendendo dagli stenti di quel primo dopoguerra ciò era
dovuto al popolo che si era rimboccato le maniche.
Risvegliare
l’opposizione!
La proposta di invalidare le elezioni, come era prevedibile,
non trovò i voti in Parlamento. Prevedibile, perché la composizione di forze
che si erano venute a creare era nettamente sfavorevole all’opposizione. Le
cronache del tempo riportano 285 voti contrari alla cancellazione di quel
responso elettorale, 57 favorevoli, 42 astenuti. Probabilmente Matteotti voleva
trascinare questi ultimi.
Il problema era smuovere la componente parlamentare che
preferiva il danno minore, quelli decisi a trattare perché capivano che il
fascismo non era un fenomeno transitorio. Ma in mezzo, tuonava Matteotti,
c’erano le libertà. “Tutti i diritti cittadini devono essere rivendicati…
Nessuno può lusingarsi che il fascismo dominante deponga le armi e restituisca
spontaneamente all'Italia un regime di legalità e libertà” (da una
corrispondenza con Filippo Turati, pubblicata sul libro curato da Alessandro
Schiavi, Filippo Turati attraverso le lettere di corrispondenti (1880-1925),
1947, p. 247).
Ma non faceva sconti nemmeno ai suoi vecchi compagni di partito, quelli che staccandosi dal Partito Socialista avevano fondato il Partito Comunista d’Italia. “Il nemico è attualmente uno solo, il fascismo. Complice involontario del fascismo è il comunismo. La violenza e la dittatura predicata dall'uno, diviene il pretesto e la giustificazione della violenza e della dittatura in atto dell'altro” (Antonio Casanova, Matteotti: una vita per il socialismo, pag.225, ed. Bompiani).
Gli esiti del suo
sacrificio
L’opposizione per sfiducia massima al governo “fece
l’Aventino”. L’espressione è diventata idiomatica per intendere chi rinuncia a
svolgere il suo lavoro e si isola in una condizione dove si pretende mantenere
vivo il lume della propria voce, del proprio lavoro. I deputati capirono che
oramai ogni margine dialettico era consumato. Fare l’opposizione in Parlamento
non era possibile perché quella in cui vivevano da tempo non era più una
democrazia. Proprio il contrario però di quanto avrebbe sicuramente voluto
Matteotti.
I presunti responsabili si presero le loro colpe
presentandosi direttamente nelle Patrie galere assolvendo in questo modo le
responsabilità dirette del partito fascista.
Matteotti è ancora oggi la massima esemplificazione della
lotta alla tirannide, rappresenta il sacrificio umano, la dedizione totale ai
valori della libertà. Non c’è una piazza o una via nei comuni d’Italia che non
sia intitolata a Giacomo Matteotti.
Nella discussione di oggi, però, per non ripetere
schematismi che oggi non hanno più ragione di esistere, si deve riflettere
quanto è importante lottare per la libertà, quanto si è disposti a sacrificare
per un bene primario.
Matteotti resta la massima testimonianza della falcidia
dittatoriale contro alcune tesi storiografiche (De Felice) che pongono la
massima attenzione al sostegno popolare di cui invece godeva il fascismo.
Oggi resta a noi la cognizione che la libertà non sussiste
come l’aria, non è una condizione di natura. Piuttosto deve essere una
conquista su cui non recediamo mai. Ed è questo il valore che deve valere per
tutti. Perché nessuno è libero se c’è chi non è libero.