“Si è spenta all'età di 80 anni la cantante francese
Françoise Hardy, icona degli anni Sessanta”. È quanto scritto in un’agenzia
stampa francese. E mai notizia fu più falsa. Quando si tratta di una icona – ma nel senso effettivo del termine, non di
quello abusato che si usa solitamente – è del tutto fuori luogo far
coincidere la vicenda biologica della persona con l’immensità dell’essere tale
da abbagliare la sua generazione per restare come testimonianza indeclinabile
per quelle avvenire.
Tutti la ricordano per Tous
les garçons et les filles. Dobbiamo anche ricordare Le temps de l'amour, Message
Personnel. Ma la prima resterà indelebile nel tracciato del percorso del
secolo accanto a pezzi come Yesterday dei Beatles o Symphaty for the Devil dei
Rolling Stones.
Davanti a tanto, in definitiva, la sua dipartita in questo
corso di vita appare una notizia oppure una nota annunciata. Nel giugno 2019
aveva dichiarato di essere nuovamente ammalata di cancro e poi aveva anche dato
l’annuncio della sua definitiva uscita dalle scene non potendo più cantare. E
questa era già sembrata la dichiarazione di sua sospensione da questo ciclo di
cose che sono dette esistenza.
Eleganza naturale, Françoise Hardy riusciva a far tutto con
classe. Anche rinunciare ad essere una grande vedette internazionale, alle
grandi passerelle, nonostante il raggiunto successo internazionale. Non aveva
mai chiesto di imporre un suo titolo o cercare nuove fortune cinematografiche.
Era rimasta l’emblema di una risposta giovanile all’esistenzialismo
che a quella immanenza del nulla nella personale, ordinaria, esperienza,
offriva la testimonianza di una ragazza dalla semplicità commovente la cui
aspirazione è quella di trovare una compagnia amorosa.
Più di tanti altri personaggi morti in giovane età Françoise
Hardy resta una leggenda giovane. Fortemente tipizzata nella fisionomia tutta
epocale e tutta concentrata in quel contesto storico culturale – Parigi, fine anni Sessanta – ma potentemente
capace di esprimere a tutte le generazioni avvenire. Tutto questo nonostante la
sua estetica non si stagliasse in modo universalistico del “piace a tutte le
generazioni”, ma – si insiste – fosse
fortemente concentrata nella sua.
Ed è per questo che oggi non dovremo piangere pensando a una
vicenda umana che perdiamo quanto ripensare i motivi musicali e l’ambientazione
che l’hanno resa eterna. Una dea non muore.