Nel giorno di festa in attesa degli esiti dell’esito finale
delle elezioni amministrative si prende la pausa per pontificare sulla
terribile vicenda successa a Latina nei campi di lavoro dove un operaio indiano
è stato scaricato in prossimità di casa dopo un incidente che lo avrebbe
portato alla morte. E lì si misurano come sempre i livelli di indignazione e si
prospettano nuove leggi perché tutelino anticipatamente dal male – come se non fosse chiaro a tutti che la
legge può intervenire solo dopo successo il fatto ed è dimostrata la sua
incapacità a essere da deterrente. Altro argomento tipico di talk show
consiste nel grado di liberalità negli ingressi e nelle regole per normare l’arrivo
di forza lavoro da l’estero. E poi la dignità dell’uomo, la Costituzione …
Tutte cose giuste e sacrosante.
Ma un vero implemento alla discussione potrebbe essere la
ripresa di testi che mostravano a chiare lettere questa realtà e nella
legittimazione di un sistema produttivo rendevano nascostamente funzionali
certi incidenti di percorso.
C’è un autore, un tempo citato eccessivamente e a
sproposito, che oggi dovrebbe essere ripreso. Si chiama Karl Marx. In una
raccolta di suoi editoriali dal titolo Lavoro salariato e capitale descrive
perfettamente questa realtà e rende certi “omicidi sul luogo di lavoro” – come sono stati definiti nella
manifestazione di ieri – l’epifenomeno della pratica indiscriminata dello
sfruttamento del lavoro.
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Marx ci parla
del rapporto fra il lavoro salariato e il capitale traducendolo nei termini della
schiavitù dell'operaio nel dominio incontrastato del capitalismo. In questa
dimensione raffigura la decadenza della borghesia che con gli ideali di libertà
aveva prospettato un mondo diverso. La ragione di tutto ciò sta nell'asservimento
commerciale e nello sfruttamento delle classi borghesi alla logica mercelogica
di sfruttamento al tempo importata dall’Inghilterra. In questa dinamica il
compenso arrivato al lavoratore consisteva in merce. In definitiva è il
lavoratore che vende al capitalista. Vende il suo lavoro. Ma il problema
consiste che i rapporti di forza sono tali che questa vendita è costretta anche
perché il lavoratore vende per sopravvivere. Ma la contraddizione che in questo
rapporto di autentica proprietà venutosi a creare fa da opposizione il fatto di
essere proprietario della propria vita, invece, il lavoratore. Ma non è così.
Il lavoratore è libero quando non lavora. Altrimenti è proprietà del datore di
lavoro.
Fin quando pagheremo i prodotti della terra come fossero un
bene inferiore perché non prodotto dalla tecnologia e dall’industria, fin
quando getteremo i prodotti della terra non consumati come pratica casalinga,
fin quando non riusciremo a valorizzare queste produzioni della natura non
riusciremo a fare questo grande passo.
Interventi normativi se ne possono fare: importanti sgravi a
coloro che dichiarano esattamente la quantità di persone che lavorano alle
proprie dipendenze. Rendere facilmente praticabile il rinnovo di soggiorno per
coloro che lavorano in Italia.
Le misure sono queste. Il resto è letteratura per le
coscienze infelici.