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22 agosto '24 - Storia
IL realismo della politica
Sessantesimo anniversario di un personaggio sopravvalutato: Palmiro Togliatti


I giornali di ieri, anche quelli sul web, hanno proposto la memoria del segretario del Partito Comunista Italiano deceduto proprio il 21 agosto del 1964 a Jalta. Esattamente sessanta anni fa. Il pretesto dell’anniversario costituisce sempre l’occasione per un ripensamento critico dall’alto del distacco della analisi storica. Non è stato così. E viene da pensare sul perché. Probabilmente deve attribuirsi al fatto che la sua vicenda oramai non interessa nessuno neanche per le implicazioni ideologiche dei suoi tempi. Come se tutto fosse cristallizzato o cicatrizzato dal tempo, tanto da non interessare a nessuno fare dei distinguo opponendo i gravi errori rimasti nel segno anche dei decenni dopo di lui.

Togliatti parteggiando per Stalin e Bucharin contro Trotsky polemizzò con Gramsci perché osò polemizzare coi vincitori di cui percepiva, a distanza, i metodi di ritorsione contro i vinti e ne temeva le ripercussioni del metodo. Togliatti riteneva invece che avendo vinto non si poteva e chiedere alcunché bensì lavorare sul solco di questa vittoria storica nelle scelte decisive della storia rivoluzionaria della Russia.

Togliatti non volle capire la deriva presa dalla conduzione del Pcus trasformato in Stato e dalla spirale repressiva tale da avvicinarlo a qualsiasi dittatura autoritaria. Timidamente accennò a una via italiana al socialismo ma quando la Russia invase l’Ungheria sostenne questa decisione e per soffocare ogni dissenso disse con cinismo realista: “si deve stare dalla propria parte anche quando la propria parte sbaglia”.

Anni prima però alla svolta di Salerno fu colui che aprì al partito monarchico e fu un sostenitore di una distensione nazionale dopo i venti anni di fascismo. Era inevitabile, secondo Togliatti, che il sentimento generale del nostro paese si fosse fascistizzato, occorrevano quindi delle iniezioni di democratizzazione e apparente apertura per introdurre elementi di cambiamento in grado di poter imprimere una transizione.

Ma quando questo avvenne con l’avvicinamento del Partito Socialista al governo monocratico della Democrazia Cristiana fu feroce nella polemica e inesorabile. La qual cosa non aiutò al clima di distensione da Togliatti sostenuto solo a parole.

Il suo pensiero, come l’azione, fu sempre mosso da un profondo realismo teso a governare lo status quo dall’alto senza mai prendersi una responsabilità per le idee propugnate. Più che un rivoluzionario dovrebbe essere ricordato come un machiavellico modificatore della propria iniziale impostazione solo per governare l’esistente rinunciano a priori di imprimere una sua visione.

Dei tanti intellettuali dissidenti dopo il fascismo curiosamente fu l’unico a volare diretto nelle rassicuranti stanze dell’edificio del Pcus in Unione Sovietica garantendo la sua vita. E forse proprio per questo non raccontò mai una virgola della repressione che non poteva aver fatto a meno di vedere.

Dovrebbe essere ricordato come una storia triste che fece male anche al mondo della protesta e della volontà di un mondo diverso. Un mondo da lui pontificato dall’alto ma negato dal suo dirigismo. Altro che ricordo, dovrebbe essere inserito in una damnatio memoriae.