I giornali di ieri, anche quelli sul web, hanno proposto la
memoria del segretario del Partito Comunista Italiano deceduto proprio il 21
agosto del 1964 a Jalta. Esattamente sessanta anni fa. Il pretesto dell’anniversario
costituisce sempre l’occasione per un ripensamento critico dall’alto del
distacco della analisi storica. Non è stato così. E viene da pensare sul
perché. Probabilmente deve attribuirsi al fatto che la sua vicenda oramai non
interessa nessuno neanche per le implicazioni ideologiche dei suoi tempi. Come
se tutto fosse cristallizzato o cicatrizzato dal tempo, tanto da non
interessare a nessuno fare dei distinguo opponendo i gravi errori rimasti nel
segno anche dei decenni dopo di lui.
Togliatti parteggiando per Stalin e Bucharin contro Trotsky polemizzò
con Gramsci perché osò polemizzare coi vincitori di cui percepiva, a distanza,
i metodi di ritorsione contro i vinti e ne temeva le ripercussioni del metodo.
Togliatti riteneva invece che avendo vinto non si poteva e chiedere alcunché
bensì lavorare sul solco di questa vittoria storica nelle scelte decisive della
storia rivoluzionaria della Russia.
Togliatti non volle capire la deriva presa dalla conduzione
del Pcus trasformato in Stato e dalla spirale repressiva tale da avvicinarlo a
qualsiasi dittatura autoritaria. Timidamente accennò a una via italiana al
socialismo ma quando la Russia invase l’Ungheria sostenne questa decisione e
per soffocare ogni dissenso disse con cinismo realista: “si deve stare dalla
propria parte anche quando la propria parte sbaglia”.
Anni prima però alla svolta di Salerno fu colui che aprì al
partito monarchico e fu un sostenitore di una distensione nazionale dopo i
venti anni di fascismo. Era inevitabile, secondo Togliatti, che il sentimento
generale del nostro paese si fosse fascistizzato, occorrevano quindi delle
iniezioni di democratizzazione e apparente apertura per introdurre elementi di
cambiamento in grado di poter imprimere una transizione.
Ma quando questo avvenne con l’avvicinamento del Partito
Socialista al governo monocratico della Democrazia Cristiana fu feroce nella
polemica e inesorabile. La qual cosa non aiutò al clima di distensione da Togliatti
sostenuto solo a parole.
Il suo pensiero, come l’azione, fu sempre mosso da un
profondo realismo teso a governare lo status
quo dall’alto senza mai prendersi una responsabilità per le idee
propugnate. Più che un rivoluzionario dovrebbe essere ricordato come un
machiavellico modificatore della propria iniziale impostazione solo per
governare l’esistente rinunciano a priori di imprimere una sua visione.
Dei tanti intellettuali dissidenti dopo il fascismo
curiosamente fu l’unico a volare diretto nelle rassicuranti stanze dell’edificio
del Pcus in Unione Sovietica garantendo la sua vita. E forse proprio per questo
non raccontò mai una virgola della repressione che non poteva aver fatto a meno
di vedere.
Dovrebbe essere ricordato come una storia triste che fece
male anche al mondo della protesta e della volontà di un mondo diverso. Un
mondo da lui pontificato dall’alto ma negato dal suo dirigismo. Altro che
ricordo, dovrebbe essere inserito in una damnatio
memoriae.