Ha vinto Donald Trump
Il più potente politico del mondo selezionato come per una gara sportiva
Ma non lo aiuteranno le battute o i motti di spirito
discutibili per dirimere due guerre in atto in cui gli Stati Uniti stanno
dentro fino al collo. In Ucraina come grandi ispiratori e mandanti, in Medio
Oriente, come garanti per l’unico paese che rappresenta la loro linea in un
contesto di nemici militari.
La via è stretta per loro, ma sulle soluzioni Donald non ha
misteri. Le cose più pesanti lui le dice ancor prima di farle rinunciando a
sottacere soluzioni estreme. Questo significa per il Medio Oriente andarsi a
prendere un paese a fare da mediatore al fine di spendere un piano di interlocuzione
con coloro i quali hanno molto da dire nei confronti di Israele: Iran. In un’area
che continuerà ad essere assediata da un esercito, ma non americano, Trump
cercherà di imporre una pace armata con la convinzione sia foriera negli anni
di una distensione.
In Ucraina dirà senza mezzi termini che l’impegno con le sue
armi è finito, che in fondo è un affare europeo e se la vedano, come per la
scelta di smobilitare in Afghanistan questo comporterà l’avanzata finale della
Russia e l’ottenimento del Donbas e altre aree, pena la distruzione completa e
a garanzia la dichiarazione da parte dell’Ucraina di non ingresso nella Nato.
Poi la partita ancora più difficile, dove le soluzioni
estreme non esistono, si svolgerà sul terreno nazionale. Lì si individuano due
grandi questioni. La prima, l’immigrazione. E allora forte della seconda
elezione rafforzerà la guardia lungo i confini, ma non sarà sufficiente e non
potrà dare una risposta. E allora ci saranno incidenti a cui addebiterà la
responsabilità a terzi.
Il secondo grande problema interno consiste nella tenuta
delle dinamiche commerciali davanti una Cina sempre più arrembante. La risposta
per Trump sta nei dazi. E saranno problemi grandi anche per l’Europa, in
particolar modo per l’Italia che vive di esportazioni. Ma la politica dei dazi
ha sempre un respiro corto e se inizialmente difende non riesce a dare
soluzioni a lungo periodo. E allora col nemico (la Cina) tenterà un accordo e
la posta sarà sempre la stessa: mani libere su Taiwan. E lì i dolori si
accentueranno di molto. Ma non è escluso che facendosi aiutare da una
mediazione non diretta da lui la questione riuscirà ad essere appianata con una
sostanziale resa. Il fronte che cercherà di tenere aperto sarà nei confronti
della sua parte di emisfero cercando di tenere alta forte lì la leadership. Ma
sarà molto difficile in un mondo in cui gli States oramai appaiono screditati
al mondo.
Arrivati a quel punto non ci saranno giornalisti che, dalla
televisione o dalla radio potranno dare addio a un mondo oramai arrivato alla
fine, potranno dire: Good night Good luck!
La prima donna presidente degli Stati Uniti e si annuncia portatrice di novità più grandi dei Kennedy
Nei primi cento giorni cercherà di fare le cose più facili e più immediatamente visibili per dimostrare che l’America è cambiata. Sì! Cambiata. Anche nei confronti del suo predecessore, le cui sconvenienti misure potranno essere superate senza alcun imbarazzo.
E allora al via la liberalizzazione delle droghe leggere,
marijuana libera. Ma qualcuno le farà notare che questa non consiste proprio in
una sua diretta e stretta competenza, ma c’è già qualcuno pronto a protestare,
immediatamente e muovere energie pesanti contro questa misura.
E allora accetterà i più miti consigli dedicandosi ai
problemi delle donne tese al finale di lotta definitiva per l’emancipazione
totale. Rendendo l’aborto una misura maggiormente praticabile e praticata però
si evidenzieranno anche contraccolpi in una sanità, come quella americana, dove
non c’è un diritto universalistico e precostituito con l’atto di cittadinanza
alla cura per la salute. E anche in questo caso si renderà conto come questa
battaglia non può procedere con petizioni di principio.
Sul problema dell’immigrazione selvaggia presterà un’attenzione
inaspettato arrivando anche alle misure forti perché non si pensi che un
presidente democratico e donna sia maggiormente docile di qualsiasi altro
eletto repubblicano e maschio. Ma saranno in molti a chiedere quale è la
differenza tra lei e un repubblicano alla Trump e allora lei cercherà di
dimostrarlo in campo internazionale.
E il vero campo di prova dovrà essere il conflitto israelo-palestinese
a cui darà piena solidarietà umana ma anche sostanziale con aiuti di tutti i
tipi. Cercherà un interlocutore credibile per convincere tutti i contraenti a
sedere sul tavolo della pace. Ma non li troverà tutti. Alcuni mancheranno all’appello.
E allora Israele firmerà dicendo giustamente che quella trattativa è infeconda
perché manca un contraente importante. Potrebbe essere lo stesso Iran o un
altro paese del Medio Oriente di cui conoscono la valenza di mandante delle azioni
militari. Incasserà la fine politica di Netanyahu ma chi lo sostituirà non
guarderà con maggiore favore la nuova guida degli Stati Uniti. Sarà lì che
Kamala si accorgerà come l’atmosfera è cambiata attorno a lei. Ma sarà troppo
tardi.
Nel frattempo l’altra estrema soluzione sarà intentata in
Ucraina. Due anni e più sono troppi per una guerra che sostiene un principio
astratto: la non complementarità con il blocco russo ma anche la rinuncia definitiva
ad essere un paese della sfera Nato. La mediazione sarà allora quella della
cessione di alcune terre alla Russia. Molti faranno notare allora se era
necessaria una guerra con tanti morti per la tenuta su qualcosa sul quale si è
stati pronti a cedere. Ma la risposta non c’è e il principio affermato sarà
quello un tempo negato: una pace ingiusta è meglio di una guerra giusta.
Ma per l’affermazione di questo principio Kamala non
prenderà il Nobel per la pace. Anche in Svezia sono dei vecchi maschilisti!