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04 novembre '24 - ironia
La vittoria rovesciata di un mondo pure rovesciato
Previsione semiseria di cosa ci aspetta dopo il 5 novembre


Ha vinto Donald Trump

Il più potente politico del mondo selezionato come per una gara sportiva

 Marx sottolineava come la Storia si affermi spesso nei caratteri della tragedia ma si ripeta coi tratti della farsa. Così hanno scelto gli Stati Uniti per l’uomo che dovrà rappresentarli. Inquisito, sabotatore della cosa pubblica per avere ispirato la vicenda di Capitol Hill, discusso per il modo di condurre gli affari per la cosa privata, Trump rappresenta massimamente la figura del self made man. E ci è rimasto giustamente aggrappato, sicuro – come in effetti è stato – che sarebbe stata la chiave vincente della sua campagna elettorale. Le sue frasi pesanti, roboanti, in alcuni tratti inquietanti neanche si contano più, ma oramai nella sfera della descrizione fonatoria della propria linea politica ad alcuni è concesso l’eccesso. In alcuni tratti è addirittura richiesto. Donald Trump è tra questi e ne è diventato maestro. Riesce a dire e fare cose con la naturalezza che per altri significherebbero la fine della possibilità di ambire a cariche pubbliche.

Ma non lo aiuteranno le battute o i motti di spirito discutibili per dirimere due guerre in atto in cui gli Stati Uniti stanno dentro fino al collo. In Ucraina come grandi ispiratori e mandanti, in Medio Oriente, come garanti per l’unico paese che rappresenta la loro linea in un contesto di nemici militari.

La via è stretta per loro, ma sulle soluzioni Donald non ha misteri. Le cose più pesanti lui le dice ancor prima di farle rinunciando a sottacere soluzioni estreme. Questo significa per il Medio Oriente andarsi a prendere un paese a fare da mediatore al fine di spendere un piano di interlocuzione con coloro i quali hanno molto da dire nei confronti di Israele: Iran. In un’area che continuerà ad essere assediata da un esercito, ma non americano, Trump cercherà di imporre una pace armata con la convinzione sia foriera negli anni di una distensione.

In Ucraina dirà senza mezzi termini che l’impegno con le sue armi è finito, che in fondo è un affare europeo e se la vedano, come per la scelta di smobilitare in Afghanistan questo comporterà l’avanzata finale della Russia e l’ottenimento del Donbas e altre aree, pena la distruzione completa e a garanzia la dichiarazione da parte dell’Ucraina di non ingresso nella Nato.

Poi la partita ancora più difficile, dove le soluzioni estreme non esistono, si svolgerà sul terreno nazionale. Lì si individuano due grandi questioni. La prima, l’immigrazione. E allora forte della seconda elezione rafforzerà la guardia lungo i confini, ma non sarà sufficiente e non potrà dare una risposta. E allora ci saranno incidenti a cui addebiterà la responsabilità a terzi.

Il secondo grande problema interno consiste nella tenuta delle dinamiche commerciali davanti una Cina sempre più arrembante. La risposta per Trump sta nei dazi. E saranno problemi grandi anche per l’Europa, in particolar modo per l’Italia che vive di esportazioni. Ma la politica dei dazi ha sempre un respiro corto e se inizialmente difende non riesce a dare soluzioni a lungo periodo. E allora col nemico (la Cina) tenterà un accordo e la posta sarà sempre la stessa: mani libere su Taiwan. E lì i dolori si accentueranno di molto. Ma non è escluso che facendosi aiutare da una mediazione non diretta da lui la questione riuscirà ad essere appianata con una sostanziale resa. Il fronte che cercherà di tenere aperto sarà nei confronti della sua parte di emisfero cercando di tenere alta forte lì la leadership. Ma sarà molto difficile in un mondo in cui gli States oramai appaiono screditati al mondo.

Arrivati a quel punto non ci saranno giornalisti che, dalla televisione o dalla radio potranno dare addio a un mondo oramai arrivato alla fine, potranno dire: Good night Good luck!

 Ha vinto Kamala Harris

 La prima donna presidente degli Stati Uniti e si annuncia portatrice di novità più grandi dei Kennedy

Nei primi cento giorni cercherà di fare le cose più facili e più immediatamente visibili per dimostrare che l’America è cambiata. Sì! Cambiata. Anche nei confronti del suo predecessore, le cui sconvenienti misure potranno essere superate senza alcun imbarazzo.

E allora al via la liberalizzazione delle droghe leggere, marijuana libera. Ma qualcuno le farà notare che questa non consiste proprio in una sua diretta e stretta competenza, ma c’è già qualcuno pronto a protestare, immediatamente e muovere energie pesanti contro questa misura.

E allora accetterà i più miti consigli dedicandosi ai problemi delle donne tese al finale di lotta definitiva per l’emancipazione totale. Rendendo l’aborto una misura maggiormente praticabile e praticata però si evidenzieranno anche contraccolpi in una sanità, come quella americana, dove non c’è un diritto universalistico e precostituito con l’atto di cittadinanza alla cura per la salute. E anche in questo caso si renderà conto come questa battaglia non può procedere con petizioni di principio.

Sul problema dell’immigrazione selvaggia presterà un’attenzione inaspettato arrivando anche alle misure forti perché non si pensi che un presidente democratico e donna sia maggiormente docile di qualsiasi altro eletto repubblicano e maschio. Ma saranno in molti a chiedere quale è la differenza tra lei e un repubblicano alla Trump e allora lei cercherà di dimostrarlo in campo internazionale.

E il vero campo di prova dovrà essere il conflitto israelo-palestinese a cui darà piena solidarietà umana ma anche sostanziale con aiuti di tutti i tipi. Cercherà un interlocutore credibile per convincere tutti i contraenti a sedere sul tavolo della pace. Ma non li troverà tutti. Alcuni mancheranno all’appello. E allora Israele firmerà dicendo giustamente che quella trattativa è infeconda perché manca un contraente importante. Potrebbe essere lo stesso Iran o un altro paese del Medio Oriente di cui conoscono la valenza di mandante delle azioni militari. Incasserà la fine politica di Netanyahu ma chi lo sostituirà non guarderà con maggiore favore la nuova guida degli Stati Uniti. Sarà lì che Kamala si accorgerà come l’atmosfera è cambiata attorno a lei. Ma sarà troppo tardi.

Nel frattempo l’altra estrema soluzione sarà intentata in Ucraina. Due anni e più sono troppi per una guerra che sostiene un principio astratto: la non complementarità con il blocco russo ma anche la rinuncia definitiva ad essere un paese della sfera Nato. La mediazione sarà allora quella della cessione di alcune terre alla Russia. Molti faranno notare allora se era necessaria una guerra con tanti morti per la tenuta su qualcosa sul quale si è stati pronti a cedere. Ma la risposta non c’è e il principio affermato sarà quello un tempo negato: una pace ingiusta è meglio di una guerra giusta.

Ma per l’affermazione di questo principio Kamala non prenderà il Nobel per la pace. Anche in Svezia sono dei vecchi maschilisti!