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09 novembre '24 - Storia
9 novembre 1989
Quel muro che fu il simbolo di quel mondo crollando ne preparava uno nuovo


Il Muro! Con la lettera maiuscola a cominciare dall’articolo. Non era un muro che divideva due ambiti e due nazioni. Era uno spartiacque tra due modi di essere di società che rivaleggiavano ed erano pronte ad entrare in conflitto se fosse caduto l’equilibrio di reciproco controllo tra i due poli contendenti: Usa e Urss, Occidente e Socialismo reale.

L’aggravante consisteva nel dividere lo stesso popolo, quello tedesco che pagava un pegno alto per i disastri della Seconda Guerra Mondiale e il nazismo che l’aveva ispirata. Divideva la sua capitale: Berlino.

Fu eretto era il 13 agosto 1961. Si trattava di un lungo sistema di recinzione in cemento armato dall’estensione di centocinquantacinque chilometri, alto tre metri e sessanta. I dati riportano che furono esecutate sommariamente centotrentatré persone nel tentativo di superare il muro per passare dalla parte Est alla parte Ovest della città.

Il 9 novembre del 1989 segnò l’inevitabile apertura del governo federale tedesco nella Germania Est per aprire le sue frontiere come aveva già fatto l’Ungheria. Oramai era divenuta impraticabile la pratica del contenere il mondo del socialismo reale entro le proprie pertinenze territoriali. Faceva parte integrante della nuova politica di Gorbacev (perestroika) l’apertura sempre più ampia al mondo cosiddetto capitalista. I problemi economici di tenuta del socialismo reale non si sarebbero mai risolti senza una distensione. Così i primi ad accorgersene furono le nazioni occupate dall’esercito russo.

L’assalto al muro fu un fatto quasi simultaneo. Una miriade di persone si avventarono lungo i confini fino a perpetrare l’atto fisico dell’abbattimento del muro con picconi e mezzi di fortuna. Era la fine di un mondo. Era l’abbattimento di quella che era stata chiamata la cortina di ferro.

IL piccone divenne l’emblema dell’abbattimento di un muro che stava per quell’incantesimo in grado di tenere intere società bloccate. Quel piccone serviva ad abbattere uno stato illusorio che teneva in piedi nomenclature fasulle tenute in piedi solo nella logica della presenza del nemico alle porte. Oramai quel peso incombente non esisteva più, quindi doveva essere abbattuto quel muro funzionale al mantenimento di apparati e gerarchie illiberali.

Era chiaro che quel sistema aveva avuto influssi in diverse parti del mondo, ma special modo in Italia. Il presidente della repubblica del tempo, Francesco Cossiga, prese a pretesto questa azione di distruzione del muro con il piccone per cercare di abbattere, con dichiarazioni distruttive per l’equilibrio istituzionale, lo stato di cose presenti in quel tempo. Voleva abbattere quel virtuale equilibrio tra poteri nel nostro paese fortemente dipendente da quell’equilibrio internazionale oramai estinto.

Lo smantellamento di quell’emblema rappresentativo di due mondi fu preso a ragione per iniziare un percorso di profonda revisione del Partito Comunista Italiano.

La mancanza dell’incombente presenza di un partito comunista in Italia si ritenne fosse l’innesco per l’attivazione di indagini su personalità di governo del momento tali da far sprofondare il quadro politico in piedi dal secondo dopoguerra. I processi della cosiddetta Tangentopoli furono la prolusione del formarsi di altre forze candidate al governo del paese e della fine della conventio ad excludendum fino ad allora praticata nei confronti del Pci e dell’Msi.

L’apertura ad un nuovo mondo, quindi, non fu solo determinata dalla parte prima segregata che senza muro si apriva bensì da entrambe le parti.

Fortemente ridimensionata, invece, la difficoltà che si riteneva avrebbe dovuto sostenere la Germania Ovest per gestire il fenomeno di riunificazione. Contrariamente a chi sosteneva tesi pessimistiche di una fase molto lunga di crisi economia la Germania unificata iniziò molto presto a muoversi molto bene nella sua economia e nei rapporti col mondo.

Fu un muro di cui nessuno, anche poeticamente, poteva sentire la mancanza.