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Socrate
Quando troppe parole fanno male


Catapultato nell’Atene del quarto secolo avanti Cristo non ti aspetti di trovare tanto caos. Tanta gente che discute per ogni cosa, al mercato per il prezzo di una merce, in strada sul tempo che farà, in Acropoli sul senso di questi tempi. Ma quando il capannello di persone si infittisce è impossibile non trovarlo. Bisogna faticare per guadagnarsi la postazione buona per ascoltare la conversazione.

Lo avete capito. È lui. Pare aver scelto un nuovo malcapitato nella conversazione che però non molla. Pare come se serbasse il desiderio di poter dire domani: “io nella discussione l’ho spuntata con Socrate”. Ma così non è mai. E questo perché Socrate non parla mai di Sé ma fa parlare gli altri. Il suo primo intento è quello di capire. Nessun piglio investigativo, non c’è voglia di corrodere le fragili fondamenta su cui si fonda l’eticità dei cittadini di Atene. Ma dopo un po’ la fragilità esce tutta. E quando crolla il palazzo non c’è Socrate che possa rimetterlo in piedi.

Maestro! … Maestro! Mi scusi, posso rivolgerle qualche domanda? Vorrei scrivere un testo che la ricordi …

“Ragazzo, se volessi essere ricordato questo testo lo avrei scritto io e magari me lo sarei fatto promuovere da un Protagora qualsiasi. Il segreto invece sta nel non essere ricordati. Nell’azzerare la memoria, nel ripartire ogni volta senza l’illusione di aver capitalizzato un discorso nel proprio percorso”.

E allora perché tante domande ai cittadini di Atene?

“Ad Atene ciascuno è convinto di essere il più forte nell’argomentare e nell’esporre. IL bello è che questa forza, nata dalle proprie esperienze, deve pervadere anche gli altri. Entra così in un gioco erotico di seduzione in cui però è il sedotto ad avere la meglio perché ha avuto, mentre l’altro ha solo dato. Una volta solleticata la propria vanità rimane sprovvisto delle parole che la sua esperienza di uomo gli aveva dato. Le ha donate. Ed è un paradosso. E io indago sui paradossi”.

Quindi è per i paradossi che rompe il cazzo un po’ a tutti …

“Che parole! Si vede che viene da Roma. Noi non usiamo mai tanta franchezza. Non per ipocrisia. È segno di disarmo. Siete forti con l’esercito ma non con le parole”.

Va bene, però questi continui interrogatori a persone consenzienti sono motivati dal perseguimento della verità?

“Parola detestabile! Voi latini la traducete in modo diretto perché siete convinti che esista. Noi greci la traduciamo con un gioco di negazioni. E noi detestiamo le parole che hanno inizio con l’alfa privativo. Pensi lei quale considerazione possiamo avere della parola da lei usata”.

Insomma, lei vuole interrogare tutti ma è difficile interrogare lei. Scappa sempre. E se dovesse cercarla la magistratura ateniese? Continuerebbe a scappare? Risponderebbe così. La incriminerebbero per reticenza …

“Quel che lei dice non avverrà mai. Quale interesse avrebbe un governo democratico come quello che sta per arrivare, oppure aristocratico, ma anche oligarchico, a incriminare uno come me? Socrate è l’amico di tutti con cui il governo deve mostrarsi di essere amico”

Che cos’è il governo della città? Perché dei cittadini nati liberi dovrebbero necessariamente esser governati? Qual è il comando superiore che stabilisce ci debba essere un governo? Non mi dica le libere elezioni!

Andiamo con ordine. Non mi pongo il problema ‘ ti esti ‘ - che cos’è?- Un governo c’è. Decide, lavora, opera. Semmai la domanda corretta è se lavora bene, se la gente sta meglio è più felice …

Ma come? Se lei non fa altro? Chiedere sul significato dell’essere di una cosa …

“In effetti è una trappola semantica in cui cadono tutti e io mi diverto a rilevarlo. Unità semantica e unità ontologica che si equivalgono. E non si capisce se è il nome a dare voce ad una cosa, anche se non esiste, oppure se la cosa, anche se non esiste, a chiedere necessariamente di essere nominata. Tra i due ambiti si fa confusione e io mi diverto a farlo notare”.

E allora cosa esiste? Da cosa dobbiamo partire? Dall’essere o dalle parole?

“Guardi quante cose che esistono. Guardi il mercato. Ma la domanda è di quante cose hanno bisogno gli ateniesi?”

Alcuni soldati che vengono a prelevarlo interrompono bruscamente la conversazione. “Si tratta di una pura formalità” – hanno detto. Dal vuoto che si crea nel portare l’uomo indifeso davanti a un giudice e l’indignazione degli ateniesi pare che questa storia non finisca bene.


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